Quando il bagno diventa spettacolo… e l’ospite uno spettatore in difficoltà
Funzionali solo in foto: riflessioni semiserie su uno degli spazi più critici dell’ospitalità
Nel mio precedente articolo ho sostenuto che il design alberghiero dovrebbe partire dall’ospite e non dall’ego del progettista. Se c’è un’area dove questo principio viene sistematicamente ignorato, quella è senza dubbio il bagno. Spazio cruciale, privato e quotidiano, oggi viene spesso trasformato in un esercizio di stile fine a sé stesso, dimenticando il suo vero scopo: essere usato.
Il bagno dovrebbe essere una pausa di normalità. E invece è diventato il teatro di piccole tragedie domestiche, in scena ogni sera, tra capelli bagnati e accappatoi in bilico.
Open space o open imbarazzo?
Quando la trasparenza supera il senso del pudore
La grande tendenza degli ultimi anni? Il bagno “a vista”, con pareti in vetro trasparenti o semi-opache, spesso senza porte. L’idea di “dialogo aperto” tra zona notte e bagno potrà anche far colpo in fase di concept, ma nella pratica genera più disagio che fascino. In coppia, in famiglia o in trasferta lavorativa, la privacy diventa un optional. E l’intimità viene esposta, letteralmente, ai quattro angoli della stanza. Perché mai dovremmo guardare il partner mentre si lava i denti, o peggio? Dove sarebbe, esattamente, il valore esperienziale? È un’idea di “lusso sensoriale” che confonde l’audacia con l’invasione, l’apertura con l’indiscrezione. E intanto, l’unica cosa opaca è la logica progettuale.
La doccia come esperimento idraulico
Design a cascata, asciugamani a terra
Un tempo bastava una cabina doccia chiusa: semplice, chiara, asciutta. Oggi la tendenza minimal ha prodotto piatti doccia rasoterra, senza paratie, che al primo getto d’acqua trasformano il bagno in una palude. L’acqua si espande come una dichiarazione di intenti, invadendo ogni angolo utile. Perché usare un telo doccia quando puoi averne bisogno di tre, da usare come diga?
Getti multipli, soffioni a pioggia e rubinetti esteticamente sofisticati ma incomprensibili rendono ogni doccia un enigma. L’ospite si ritrova a gestire schizzi ovunque, specchi appannati, flussi che arrivano sempre dal posto sbagliato. E non parliamo di quando la doccia si aziona solo tramite sensori touch “nascosti” dietro superfici nere. Non si lava più il corpo: si gioca a Tomb Raider.
Illuminazione: troppo o troppo poco
Specchi “intelligenti” e luci che non aiutano
Il bagno è uno spazio tecnico e serve una luce funzionale. Eppure, l’illuminazione è spesso progettata più per l’effetto che per l’efficienza. Led blu, luci soffuse “d’ambiente”, retroilluminazioni suggestive ma poco efficaci. Il risultato? Impossibile radersi o truccarsi senza ombre sul viso. E se c’è uno specchio ingrandente, di solito è piazzato nel punto meno accessibile, magari dietro una colonna e quasi mai all’altezza giusta. Intanto, la presa per il phon è sempre altrove, magari sotto il lavandino o accanto al wc. Un indizio: se serve una caccia al tesoro per accendere la luce principale, qualcosa non funziona. Molti bagni sembrano progettati per essere fotografati in controluce, non per permettere a un essere umano di guardarsi in faccia la mattina. Ma si sa, la vanità dei progettisti ha più watt della lampada da trucco.
Niente ganci, pochi piani, nessuna presa
Minimalismo o progettazione pigra?
Il minimalismo è elegante, certo, ma non può giustificare l’assenza di superfici, appoggi, ganci e prese. Un bagno d’albergo dovrebbe prevedere l’uso contemporaneo da parte di almeno due persone, con oggetti, necessità, rituali diversi. Eppure, troppe stanze hanno bagni con un solo lavandino, uno specchio posizionato male e zero vani per beauty case, abiti asciutti, dispositivi personali.
A volte la presa elettrica è persino dietro la porta, come se non si fosse previsto che qualcuno potesse usarla. Le salviette? Piegate con cura zen ma abbandonate su un piano inclinato. Lo spazzolino? O in bilico sulla rubinetteria o nella custodia, in attesa di un punto d’appoggio degno. Ma non preoccupatevi: il portasapone è di design.
Il sintomo di un problema più profondo
Un design scollegato dall’esperienza reale
Il bagno è lo specchio della filosofia progettuale dell’intera struttura. Quando è scomodo, confuso, poco funzionale, è perché chi lo ha disegnato ha privilegiato l’estetica sul vissuto. Molti progettisti oggi disegnano per la rivista, per il catalogo, per la fiera. Ma un hotel non è un set: è un sistema che deve funzionare ogni giorno, con ospiti veri, abitudini vere, esigenze spesso molto semplici.
E il bagno è il primo banco di prova. Se lì qualcosa non funziona, è difficile che il resto sia stato pensato meglio. Anzi, spesso è solo il primo indizio.
Conclusione: il vero lusso è poter usare tutto
Progettare per le persone, non per le copertine
Un buon bagno d’hotel non ha bisogno di stupire. Deve essere confortevole, asciutto, ben illuminato, con superfici sufficienti, rubinetti intuitivi, privacy garantita. Sembra poco, ma oggi è già molto. In fondo, il vero lusso non è una doccia cromoterapica o uno specchio parlante, ma potersi lavare, asciugare e preparare senza dover decifrare nulla. Perché nel bagno, come nella vita, la semplicità è un valore sottovalutato.
Ma a differenza della vita, almeno lì dovrebbe esserci un gancio per l’accappatoio.
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