La nuova filiera formativa

La nuova filiera formativa

La riforma della filiera formativa tecnologico-professionale fortemente voluta dal Ministro Giuseppe Valditara, dopo una lunga gestazione, è stata definitivamente approvata dalla Camera dei Deputati il 31 luglio 2024. La riforma, che introduce il cosiddetto modello 4+2, mira a rilanciare una filiera formativa, considerata strategica per il paese

Guardando però ai dati delle iscrizioni di quest’anno vediamo che nonostante la riforma permane una situazione fortemente sbilanciata per quanto riguarda la scelta della scuola secondaria superiore in cui salgono i licei con il 55,9%, arretrano i tecnici con il 31,32 % e calano ancora i professionali con il 12,69%. (dati M.I.M.); con i tecnici per il turismo appena al 3,2% e i professionali per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera attestati al 3,94. Insieme non arrivano neanche all’8%, dato solo parzialmente compensato dal boom del liceo linguistico che però offre una preparazione di tipo letterario e non settoriale. Per non dire del flop del liceo del Made in Italy, fermo allo 0,09 per cento.

In questo quadro appare alquanto deludente anche il dato relativo alla filiera corta introdotta dalla riforma, dove il numero dei percorsi autorizzati è triplicato riaspetto allo scorso anno (628), ma il numero degli iscritti non arriva a 6.000 unità (circa l’1% degli iscritti alle classi prime delle superiori), col rischio che molti dei percorsi autorizzati non verranno attivati per mancanza del numero minimo di alunni per classe. Paradossalmente le scuole che intendono attivare i nuovi percorsi quadriennali si concentrano in prevalenza al sud, dove storicamente la presenza degli istituti tecnici e professionali tradizionali è meno radicata.

Fatto sta che gli istituti tecnici e professionali negli ultimi anni invece di guadagnare hanno perso attrattività. Non fanno eccezioni gli istituti alberghieri, che dopo il boom di iscrizioni risalente all’anno scolastico 2014-2015, con ben 64.296 “primini”, in dieci anni hanno visto il loro numero più che dimezzarsi nell’anno scolastico in corso (26.647).

Diverse le cause, ma quella principale è la deriva licealistica, che ha contrassegnato l’istruzione tecnica e professionale in Italia a partire dal 2005, a cui soltanto negli ultimi anni si è cercato di porre rimedio. Un depotenziamento di fatto che ha comportato tra l’altro una drastica riduzione delle ore di esercitazioni pratiche di laboratorio e il camuffamento dell’alternanza scuola/lavoro nei cosiddetti PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento).

L’impianto della riforma è concepito in modo tale da rinforzare sia le competenze di base (Italiano e matematica) che la formazione tecnico-professionale, valorizzando più di quanto è stato fatto finora l’apprendistato formativo (da 15 anni in su ) e l’alternanza scuola-lavoro a partire dal secondo anno, estendendola fino a 400 ore nel corso del triennio. Altra novità, particolarmente invisa ai sindacati della scuola, riguarda la docenza ed è la possibilità per le scuole di incrementare l’attività laboratoriale e potenziare la formazione tecnica mediante la chiamata di esperti provenienti dalle aziende del settore e dal mondo professionale di riferimento, da assumere con contratto di prestazione d’opera temporaneo. Non meno significativa la spinta che si intende dare all’internazionalizzazione, favorendo gli stages e i soggiorni linguistici all’estero.

Il modello organizzativo su cui si intende investire è quello del “Campus”, dove cercare di convogliare l’offerta formativa degli Istituti tecnici e professionali, degli ITS Accademy e dei Centri di Formazione professionale, che ne faranno parte. Campus in grado di offrire delle competenze teoriche e pratiche di qualità in linea con le vocazioni dei territori e le esigenze specifiche delle imprese in un rapporto che non potrà mai essere di mera dipendenza, ma di sinergia. Fondamentali saranno a riguardo le partnership che si verranno a creare, stipulando accordi di rete tra tutti i soggetti pubblici e privati che condividono la mission, a cominciare dagli ITS Accademy.

Sulla carta l’obiettivo dichiarato è quello di colmare il mismatch tra le competenze in uscita degli studenti e le skill richieste dal mercato del lavoro per cercare di porre rimedio alla drammatica carenza di personale, particolarmente avvertita nei settori della ricettività, dell’accoglienza e della ristorazione, e non solo. Insomma percorsi più brevi ma fortemente caratterizzati, tali da consentire agli studenti sia l’accesso diretto al mondo del lavoro che il proseguimento degli studi dopo il diploma negli ITS Academy, con il conseguimento finale, in sei anni, del diploma di alta specializzazione, senza precludere la possibilità di accedere anche all’università. E se da un lato la riforma è stata accolta con favore dagli ambienti imprenditoriali, dall’altro tra gli addetti ai lavori prevale lo scetticismo di quanti pensano che con questa riforma si sia voluto anticipare di un anno l’ingresso nel mondo del lavoro, allineando il nostro sistema d’istruzione a quello degli altri paesi europei, senza valutare adeguatamente l’impatto sulla qualità dell’istruzione e sull’equità del nostro sistema educativo.

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