Dalla Cina all’Italia. Confronti e soluzioni durante la pesante crisi del Covid-19

Dalla Cina all’Italia. Confronti e soluzioni durante la pesante crisi del Covid-19

Riflessioni di Gianpietro Sacchi, progettista, interior designer, consulente strategico nel mondo del ristorazione, ospitalità leisure. Coordinatore Comitato tecnico scientifico FCSI – Foodservice Consultants Society International-Italian Unit

La conoscenza di questi due mercati mi permette di fare dei parallelismi importanti. Questa crisi è molto profonda perché ha visto crollare contemporaneamente sia la domanda che l’offerta praticamente in tutti i settori. Le attività nel mondo dell’ospitalità e della ristorazione sono ripartite a macchia d’olio, senza una strategia comune e condivisa, con decreti spesso contradittori, che lasciano molto spazio al fai da te da parte degli imprenditori. Questo virus ci ha colpito violentemente: ha creato migliaia di decessi e problemi economici che saranno probabilmente incalcolabili, ma soprattutto problemi sociali e psicologici sui quali ancora non sappiamo come reagiranno le persone. Se da una parte ognuno di noi ha sofferto l’isolamento sociale, ora che siamo in fasi successive (ma non rassicuranti) possiamo muoverci, con le cautele del caso e con l’attenzione agli assembramenti.

L’Italia – ed in particolare Milano – è stata colpita duramente: la nostra ‘Milano da bere’ non sarà sicuramente più la stessa, almeno per molto tempo ancora, perché culturalmente siamo animali molto sociali e l’isolamento forzato ha cambiato molte abitudini soprattutto nei meno giovani. I sociologi hanno individuato tre atteggiamenti principali: chi prosegue e guarda avanti, chi ha deciso di cambiare le proprie abitudini sociali, chi è ancora confuso ed aspetta… Vale la pena di citare alcuni dati per ricordarci cosa è successo in passato, rispetto a virus, pandemie che hanno coinvolto molti Paesi tra i qual il nostro.

Se da una parte sembriamo un popolo ribelle, poco avvezzo alle regole e alle restrizioni, lo dimostrano alcune notizie di questi giorni, siamo un popolo in fondo che tende a essere attento alla propria sicurezza, soprattutto a quella alimentare. Non possiamo dimenticare che, dopo il disastro di Chernobyl, siamo stati gli ultimi in Europa a ricominciare a bere latte e mangiare verdure, sempre nello stesso periodo gli ultimi a ricominciare a mangiare carne dopo l’epidemia della mucca pazza e più recentemente gli ultimi a consumare carne di pollo dopo l’aviaria.

Il nostro nemico invisibile è decisamente aggressivo, ha creato un impatto devastante, soprattutto nei luoghi legati alla somministrazioni di cibi e bevande, hotel, bar, ristoranti, quei luoghi che siamo abituati a frequentare per socializzare. Stiamo cominciando a vedere, indipendenti da decreti e ordinanze, qual è il reale comportamento delle persone in presenza di indicazioni importanti quali le cosiddette 4 D: Distanza, Dispositivi, Digitalizzazione, Diagnosi proposte fin dall’inizio da molte Regioni, ma che sono state modificate più volte o non sono state attuate. Per la mia conoscenza approfondita del mercato cinese, col quale ho contatti quotidiani, posso riportare cosa è successo e cosa stia succedendo a Shanghai, (città dove ho lavorato 5 mesi ogni anno, negli ultimi 4 anni), senza dimenticare, che loro sono entrati in fase 2 da febbraio e che la situazione è stata in continua evoluzione. Shanghai fu colpita duramente dalla Sars nel 2003, per cui in qualche modo possedeva uno storico ed una strategia che è stata velocemente adattata alla nuova emergenza.  

Partiamo dal presupposto che in Cina è obbligatorio installare una app che in base ai dati immessi rileva gli spostamenti in eventuali aree o persone a rischio determina il tuo status che può essere verde, giallo o rosso, Lo status viene controllato praticamente ad ogni varco, sia questo la metropolitana, un condominio, un ristorante o un negozio. E’ ancora obbligatorio il controllo della temperatura corporea e dispositivi di protezione personale, come da noi. Lo status verde non prevede limitazioni, quello giallo impedisce l’entrata in gran parte dei luoghi e quello rosso ti confina, riportandoti in quarantena. In Cina si è notato un fenomeno che non era stato previsto; con la progressiva riapertura di bar e ristoranti, era stato previsto calo del delivery e dell’e-commerce che ovviamente aveva subito un’impennata nel momento del lockdown totale. In realtà il calo è stato minimo e questo impone una riflessione. Le persone hanno ancora paura del contatto sociale e probabilmente hanno gradualmente modificato le loro abitudini.

E’ noto che nel nostro Paese la tracciabilità è vista dai più come una limitazione della libertà personale e una violazione dei diritti, per cui ritengo, viste le polemiche avutesi, che non sia applicabile se non su base volontaria; la successiva riflessione ci impone di trovare soluzioni alternative che possano permettere un progressiva ripartenza del settori ristorazione e ospitalità, e in senso più allargato, stabilimenti balneari, resort, ecc. che per forza di cose sono le ultime a ripartire a meno che non siano in grado di modificare molto velocemente il modello di business.

Non dimentichiamo che questo settore produce il 13% del PIL italiano coinvolgendo oltre 330.000 aziende ed un numero esorbitanti di addetti, che esplode se includiamo i lavoratori stagionali. Va segnalato che i costi di gestione in Italia sono altissimi e anche in situazioni di normalità alcuni piccoli esercizi erano già in difficoltà. Coloro che vivevano sul turismo, soprattutto quello internazionale, sono quelli che stanno subendo la maggiore perdita anche nelle grandi città; saranno fortemente penalizzati. La IATA parlava di un passivo di oltre il 55% solo nel primo trimestre con un collasso del 90% del traffico aereo. Dopo questa lunga, ma importante premessa proviamo a individuare qualche possibile soluzione.

Alcune considerazioni sul food

Cominciamo dal delivery. I colossi di questo settore hanno da tempo individuato le nuove esigenze, i nuovi bisogni degli utenti e incrementato il loro mercato nel mondo food e non food a doppie cifre ogni anno. Il vantaggio è sicuramente una visibilità maggiore, l’allargamento del bacino di clientela, ma per i costi elevati non è sicuramente conveniente usare solamente questo strumento.

Per citare nuovamente e brevemente la Cina, la situazione è più abbordabile perché sia i costi generali di gestione che di delivery sono decisamente minori. Vi sono situazioni alternative, per coloro che non vogliono affiliarsi ai grandi gruppi, quali per affiancare la SCIA di somministrazione una SCIA di trasporto di alimenti o di vendita on line oltre ai vari documento di valutazione dei rischi (sul delivery) HACCP.

Un altro mondo che si sta evolvendo in maniera esponenziale è sicuramente quello delle Dark Kitchen o Virtual Kitchen: sono cucine non aperte al pubblico che possono produrre quotidianamente una notevole quantità di cibo di alta qualità, agire in autonomia o supportare i ristoranti già operativi per ridurre i costi di gestione, attrezzature e personale

Uno dei più importanti player del settore delivery ha già provveduto a strutturare in proprio questa innovativa soluzione, affiancandola alla tradizionale attività di consegne a domicilio. Già oggi, ma anche in uno scenario a breve termine, molte aziende hanno modificato il loro modello di business, continuando ad utilizzare lo smart working, per cui potrebbe scendere ulteriormente il numero della richiesta di coperti nella pausa pranzo, di conseguenza gli imprenditori dovranno essere molto attenti ai nuovi stili di vita che si stanno delineando.

Non essendoci una chiara visibilità di ciò che ci aspetta per le prossime fasi è anche abbastanza difficile districarsi tra le varie, notizie, tesi, soluzioni che vengono diffuse soprattutto tramite il web: il grande Umberto Eco disse <I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli>, i quali si fanno portavoce di notizie false o autoreferenziali, che sostengono oltre ogni limite. Ci sono molti “esperti“ ma pochi veri tecnici e spesso le stesse sono prive di fondamento, soprattutto mancano della parte legata alla fattibilità, non tenendo conto delle esigenze e del budget dei gestori.

D’altro canto, mai come in questo periodo, il fai da te, da parte degli imprenditori del settore, potrebbe essere più disastroso. Parliamo di soluzioni pratiche per bar e ristoranti: per coloro che non vorranno cambiare strategia di business, le soluzioni si restringono. Ristornante e bar non possono sostenere le spese di gestione con il distanziamento sociale, vale a dire il 20/30% dei coperti. Alcuni Comuni concedono gratuitamente spazi all’aperto di fronte agli esercizi pubblici, ove possibile, ma questa è una soluzione valida per i mesi estivi, non per la prossima stagione invernale, specialmente nel nord d’Italia.

La riduzione dei posti ha immediatamente generato un aumento dei prezzi al consumo, strategia prevedibile, ma sicuramente non “customer friendly.” In alcuni casi semplicemente alzando i prezzi, in altri aggiungendo una quota sullo scontrino come contributo Covid.   (1a puntata)

L’autore è docente e direttore di corsi di Alta formazione sui temi HORECA presso POLI.design, fondato 21 anni dal Politecnico di Milano, Sacchi svolge l’attività professionale da 34 anni ed da oltre 20 quella didattica in Italia ed all’estero, negli ultimi anni soprattutto in Cina. Le foto sono dell’autore.
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