Dopo l’over-tourism come rilanciare l’industria turistica del domani

Dopo l’over-tourism come rilanciare l’industria turistica del domani

Antonello Dè Medici, General manager dell’Hotel Hilton Molino Stucky di Venezia, ci indica  come superare l’attuale crisi e come poter tornare alla competitività 

La perdurante crisi dovuta al Covid-19 ha messo in ginocchio la gran parte dell’industria turistica italiana; sappiamo quanto sia importante per il nostro Paese e strettamente legata ad alcune delle principali filiere dell’economia italiana. Il Covid ha colpito pesantemente il turismo che aveva avuto i maggiori incrementi di arrivi negli ultimi anni, che aveva riempito le classiche destinazioni sempre in over-tourism, il triangolo Roma-Venezia-Firenze con Milano d’appoggio per i viaggi d’affari. Che accadrà quindi nella fase X del post-Covid? Se la selezione ci sarà già stata o se sarà una lenta moria di chi proprio non ce la farà a reggere tale ritmo? Ed ora che faranno i grandi brand che in Italia rappresentano la fascia medio-alta del mercato? 

La profonda trasformazione che negli ultimi anni ha modificato e ampliato il concetto stesso di ospitalità alberghiera, ha determinato un crescente coinvolgimento nell’ambito del comparto turismo di settori che vanno dall’edilizia alla filiera del legno e dell’arredo, così come quelle della cultura, della moda, dell’agroalimentare e dei servizi. Abbiamo chiesto ad Antonello Dè Medici, un qualificato general manager che dirige un grande albergo e che molti altri ne ha diretti in precedenza, la ricetta ideale per una pronta ricrescita.

D. Il turismo, a dispetto dei politici, va considerato un volano per l’intero sistema Paese?

Il paradosso è che abbiamo pensato di aumentare l’offerta allargando i mercati attraverso i prezzi spinti dalla volatilità della domanda, senza considerare il reale valore: una camera può essere fungibile a parità di categoria e di tipologia di destinazione, una cena può essere scelta su un piano di convenienza, un’esperienza può essere di massa a prezzi scontati. Parliamo di marketing dell’esperienza: dobbiamo allora ripartire, qui sì con resilienza e umiltà, dalla comprensione del valore per ciascun segmento di mercato e ciascuna provenienza di ospiti, ognuno con bisogni e aspettative diverse.

Le località come dovrebbero proporsi, in questo riposizionamento?

Le destinazioni devono riorganizzare la rete delle aziende, creando prodotti e programmi culturali e di attività coerenti, che ne definiscano il posizionamento sul mercato. Mettere in rete non significa accorpare, ma integrare la filiera, dai servizi di trasporto e logistica, alla ricettività, all’enogastronomia ed artigianato. Ogni destinazione deve cercare di divenire un brand, e ogni struttura della filiera può essere responsabile di innovazione e marketing, di vendita, di produzione di servizi e soprattutto di esperienze memorabili. Quando i turisti divengono clienti e poi i clienti tornano e aumentano la durata dei soggiorni, quando scoprono le destinazioni fuori stagione, alla fine si trasformano in ambasciatori e testimonial.

È un vero piano industriale che comporta anche un nuovo modello d’impresa…

Per gestire questo “new normal delle destinazioni” occorre effettivamente un salto qualitativo negli strumenti: innanzitutto un’evoluzione del modello di impresa, con progetti di sviluppo dei prodotti e investimenti nelle strutture. Discutiamo del forte impatto dello sblocco dei cantieri e delle grandi opere, ma quale effetto avrebbe un piano di riconversione delle strutture alberghiere e ricettive in Italia che consentisse di innovare in tecnologia, sostenibilità, design e accessibilità anche per ospiti con disabilità o considerando bisogni diversi per fasce d’età?

Quindi i benefici ricadrebbero su una filiera molto più ampia di attività produttive?

Esatto. Nel nostro Paese soffriamo e gioiamo della frammentazione dell’offerta, della mancanza di marchi internazionali diffusi, dell’affidabilità di imprenditori prestati al turismo, spinti dalla diversificazione degli investimenti, e persino del sistema bancario e del credito, che valuta rating sui parametri immobiliari invece che sugli indicatori di performance specifici come RevPar o RevPac, come EBITDA o NOI. La sfida quindi deve passare per lo sviluppo della cultura di impresa nel turismo e nella ospitalità, adottando modelli più elastici e capaci di reagire ai cambiamenti ed alle crisi di mercato più velocemente. Dobbiamo standardizzare i processi ed evitare variazioni nell’esecuzione dei servizi come base dell’affidabilità della promessa di mercato, per poi personalizzare e creare maggior valore per i clienti cha hanno bisogni individuali specifici e che sono disposti a pagare per questo, divenendo leali al brand, alle strutture ed alle destinazioni.

Questo cambiamento epocale richiederebbe quindi maggiore preparazione e più manager?

L’evoluzione richiede un impegno sul piano delle competenze, appunto non più come rendite di posizione che sono legate alla naturale anzianità nei ruoli, ma come costante impegno all’apprendimento continuo, alla contaminazione delle buone pratiche e alla capacità di utilizzo di strumenti di analisi e di indicatori di performance, per misurare dove eravamo e dove vogliamo andare. Dobbiamo non aver paura di concetti come “Knowledge sharing” ovvero condivisione delle informazioni in una rete di relazioni che possa alimentare il valore delle offerte senza dover ripetere all’infinito i percorsi di apprendimento. L’Italia è un Paese che poggia sul turismo, ma che non ha costruito un progetto omogeneo di formazione per la filiera dell’ospitalità, sorpassata da decadi di Università e scuole di formazione specifiche di altri Paesi europei che hanno attratto talenti e li hanno inseriti nel mondo del lavoro.

Sembra che a Venezia stia nascendo una nuova scuola per manager.

Benissimo. Abbiamo bisogno di coraggio e di idee come quella promossa da TH Resorts e Cdp sulla Scuola di Ospitalità in collaborazione con Cà Foscari, un esempio che deve avvicinare la formazione universitaria e master guardando ai modelli europei, un modello al quale il mondo di Federturismo Confindustria guarda con favore, mettendo a disposizione la rete delle medie e grandi strutture dei brand dell’ospitalità come osmosi di progetti, testimonianze, stage e placement possibili.

Bisogna però fare attenzione a non voler diluire la forza di questa visione imbrigliando l’offerta in vincoli derivanti da una visione conservativa dei programmi e spingere anche le Istituzioni a liberare i percorsi in ragione della impiegabilità delle risorse e della integrazione con tutorship, mentorship e internship in collaborazione con le aziende nazionali ed internazionali dell’ospitalità.

Il New Normal deve ripartire dalle competenze, dai talenti e dalla cultura di impresa per poi sostenere i cambiamenti nei modelli delle destinazioni, nuovi job da Destination managers a Experience Product Managers, a Manager della sostenibilità, a Destination Concierge, a Digital Butlers e persino a Healty and safety Managers, che sappiano attivare la prevenzione e reagire in caso di emergenze, contribuendo a rinforzare l’elemento fondamentale del travel oggi in sofferenza, ovvero la fiducia.

Tale fiducia si fa percepire attraverso la comunicazione, la brand reputation e oggi anche sul rigore dei protocolli adottati. Allo Stucky com’è attualmente la situazione?

L’hotel oggi è riaperto dai  primi giorni di luglio. Abbiamo adottato formidabili misure di sicurezza e abbiamo fornito a tutti idonei percorsi di formazione on-line, adottando i protocolli di Hilton Clean Stay ed Event Ready. Contiamo nel concierge digitale, nei menù sostenibili per food & beverage, nel rilancio – appena sarà consentito – del centro congressi, che sarà tarato su una presenza coerente con i limiti normativi rispetto ai  1000 potenziali, e proporrà anche presenze virtuali attraverso un progetto di Meeting Ibridi in collaborazione con aziende leader nella tecnologia, nelle comunicazioni e nel digitale.

In primavera abbiamo ultimato il restauro completo di metà struttura, recuperando stili e arredi d’interni che rievocano il recupero industriale dello storico Molino: ci sono stanze nuove a disposizione dei clienti in un panorama di contrazione degli investimenti dovuto alla crisi del settore. Adesso confidiamo nel turismo di prossimità europeo, con la ripresa dei voli internazionali di Klm, AirFrance, BA, Lufthansa, Austrian e progressivamente di altre compagnie che dovranno adottare proedure preventive di screening e garantire flussi controllati. Stiamo predisponendo percorsi esperienziali nella città, anche in alternativa all’area marciana, simbolo di overturism spinto. Questa è la nostra strategia, in attesa di quella dell’intero comparto e del new normal delle destinazioni.

Allo stesso tempo possiamo e dobbiamo creare appuntamenti con partner della filera del food and wine per stimolare percorsi esperienziali e innovazione sia nel mondo culinary che mixology. La collaborazione con partner culturali quali Guggeheim, Fondazione Pinault, MUVE, La Fenice, Teatro Stabile del Veneto sono linfa per alimentare la speranza di recuperare un turismo di qualità in una Città unica e vivibile.

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