L’ecosistema delle Startup in Italia. Presentiamo un caso di successo

L’ecosistema delle Startup in Italia. Presentiamo un caso di successo

Oggi in Italia il mondo delle startup innovative è rappresentato da più di settemila imprese, distribuite tra le diverse regioni, con la maggiore concentrazione territoriale in Lombardia ed Emilia Romagna. Sono oltre trentacinquemila persone che contribuiscono a innovare il sistema Paese.

L’ecosistema delle startup in Italia è in piena espansione, nonostante rimanga ancora rilevante il gap nei confronti degli altri paesi. Nel 2018 gli investimenti in startup sono stati pari a 560 milioni di euro.  quasi quintuplicati rispetto al 2017. Gli investitori sono fondi di venture capital, acceleratori e incubatori sul territorio nazionale e business angels (490 milioni circa) e quelli raccolti attraverso le principali piattaforme di crowdfunding (30 milioni).

Problemi

L’80% delle startup fallisce entro il terzo anno. Secondo il sole 24 Ore sono 3 i motivi principali: Idee spesso non più innovative, mancanza di capitale umano e investimenti limitati all’interno di un quadro fiscale molto stringente. In Italia non girano soldi sull’innovazione, o per meglio dire, non quanto nel resto d’Europa. In tal senso, Il Governo deve sostenere di più l’innovazione riducendo la pressione fiscale sulle nuove imprese.

  1. Qualità delle idee

La qualità di una startup si misura nella sua capacità di risolvere un bisogno del mercato. Vendere un prodotto che non serve, che non soddisfa alcuna esigenza concreta del proprio mercato potenziale è il primo motivo per cui una startup fallisce. Non parliamo soltanto di prodotto, ma anche di business model: un pricing errato, troppo alto o troppo basso per il segmento di mercato, oppure un modello di business non sostenibile o poco attrattivo.

  1. Team

La qualità di una startup dipende anche dalla qualità e dall’esperienza del team. Il secondo motivo dietro il fallimento di una startup è nella scelta del team sbagliato.

Le startup di successo hanno un team eterogeneo, un mix di sviluppatori e sales in grado di comprendere a pieno le dinamiche del settore in cui operano. Conoscenze specifiche che risultano fondamentali per il successo del business. Questo vale soprattutto nelle startup nel B2B (Business to Business), che offrono servizi/tecnologia ad altre aziende e richiedono una conoscenza verticale nel settore. Ciò presuppone l’esistenza di un periodo nel quale l’imprenditore è stato per anni impegnato a livello professionale prima di creare un’impresa innovativa.

Secondo una ricerca di Harward Business Review, l’età dei founders è strettamente correlata con il successo della startup.  Le startup di maggior successo hanno un team di founders con un’età media superiore ai 35 anni. Una ricerca del MIT e del Kellogg School of Management conferma questi dati sostenendo che L’età media dei founders delle startup di maggior successo, quelle con una crescita 1% superiore del loro settore, eradi 45.

  1. mancanza di adeguati investimenti?

Nel 2012, il governo Monti ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di leggi atte a favorire lo sviluppo di nuove aziende definite “Startup Innovative”, beneficiarie di una serie d’incentivi fiscali e non. Sono nati strumenti complementari, come la possibilità di aprire una startup in modo rapido e gratuito, procedure di fallimento semplificate, incentivi fiscali per gli investimenti in equity e un sistema pubblico di garanzia per l’accesso al credito bancario. Nel 2019 si è cercato di dare ulteriore impulso all’ecosistema creando una piattaforma pubblica, garantita dallo Stato, per stimolare gli investimenti in capitale di rischio a favore dell’innovazione tecnologica.

Un Fondo Italiano d’Innovazione di 1 un miliardo di euro

Nonostante la lodevole ratio della normativa, a distanza di 7 anni, la realtà ci consegna un quadro con alcune zone grigie. Sono nate oltre 9000 startup innovative di cui solo 1/4 hanno ricevuto o ricevono investimenti da parte di Venture Capital.

Abbiamo soldi a disposizione e idee di startup: perché mancano gli investimenti? Dov’è il corto circuito?

Le aziende che riescono a raccogliere più capitali sono quelle legate a settori più tradizionali, perché creano soluzioni innovative che intercettano l’interesse delle aziende operanti in tali settori. Gli stessi investitori hanno una conoscenza maggiore di alcuni settori piuttosto che altri, quindi tendono a percepire con un rischio minore un investimento in una startup che opera in settori più tradizionali.

Lo stesso vale per il team: abbiamo visto in precedenza come sia necessario per un team di successo avere founder con precedenti esperienze manageriali, per cui se i settori tradizionali dominano la scena economica, è più probabile trovare founders che abbiano fatto esperienza in tali settori. Questa situazione genera degli effetti negativi su settori più avanzati.

Per esempio, nel campo dell’Intelligenza artificiale, l’Italia occupa la 19esima posizione nella classifica dei Top 20. Gli Stati Uniti dominano la classifica con 1.393 startup all’attivo. A seguire la Cina in seconda posizione con 383 startup, Israele con 362, UK e Canada chiudono la Top 5 rispettivamente con 245 e 131 startup.

Come abbiamo visto, questo è dovuto ad un mix di cause culturali (per i Venture Capital) e strutturali (per i fondi pubblici). In Italia la crescita di startup è frenata dalla forte avversione al rischio. Ci sono imprese con molto potenziale che nessuno finanzia (Venture Capital), perché lontane dai settori tradizionali e nonostante lo sforzo dello stato nel mettere ingenti somme a disposizione, spesso manca una comprensione delle dinamiche delle startup, che rendono questi fondi inaccessibili. Per ottenere i finanziamenti infatti è necessario attendere anche un anno (per completare l’iter burocratico), ed un anno per una startup early-stage equivale a 5 anni, per cui sopravvivere con risorse proprie diventa un’impresa molto ardua.

Soluzioni

Per creare effetti positivi sull’ecosistema delle startup è necessario operare in modo olistico su 3 elementi:

1.Cultura

2.Politica

3.Formazione.

La Cultura dei VC deve necessariamente cambiare, aumentando la propensione al rischio ed estendendola in settori meno tradizionali, d’altra parte gli investimenti pubblici devono essere accompagnati da processi che si adattino alle esigenze delle startup (soprattutto nelle tempistiche) e non il contrario. La formazione del team è altrettanto cruciale: è necessario creare un ecosistema che sia in grado di fornire ai giovani gli strumenti PRATICI per affrontare al meglio i lavori del futuro e Il sistema scolastico dovrebbe supportare maggiormente la propensione al rischio. Il rischio in Italia si associa al concetto di fallimento, nella sua accezione più negativa. Fallire significa essere socialmente marchiati come falliti.

Credo che questo sia una delle poche cose che dovremmo imparare dagli americani, cioè vedere il fallimento per quello che oggettivamente è: un’esperienza costruttiva e un insegnamento per riprovare migliorandosi. Non si può innovare senza assumere dei rischi.

Infine è necessario investire nella formazione manageriale dei team, ed in particolar modo sottolineando l’importanza della logica razionale nelle decisioni di business e accresce le competenze nella negoziazione. I founders spesso tendono a porre le proprie emozioni al di sopra del principio di razionalità. Un team sano e di successo deve poggiare su principi razionali e le decisioni devono essere condivise su base razionale.

Testo di Fulvio Giannetti: CEO / Data Scientit di Lybra.tech e docente di Big Data presso La Sapienza di Roma nel master su BigData di Master and Skills.

Pillole su Lybra.tech: Lybra è una startup attiva dal 2017 che ha partecipato al programma di accelerazione di LVenture Group, uno dei più grandi VC in Italia e tra i più importanti in Europa.

Info : www.lybra.tech – info@lybra.tech

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