Lavoro. Il lavoro nel settore turistico

Lavoro. Il lavoro nel settore turistico

Le prospettive di lavoro in ambito turistico sono molto interessanti. La domanda cerca la disponibilità nel settore della ‘sala’ che è il più carente.

Chi esce dagli istituti alberghieri punta sui ruoli di cucina o di receptionist: per questi ultimi è d’obbligo un’ottima conoscenza delle lingue che non sempre fa parte del bagalio dei nostri giovani, mentre dall’estero arrivano persone sotto quest’aspetto più preparate.

Il turismo è un settore in piena salute: tante le posizioni professionali esistenti e sempre maggiori i profili inediti richiesti per far fronte alle esigenze di un mercato in continua evoluzione.

Sono infatti le posizioni in ambito turismo e HoReCa a guidare offerte e ricerche di lavoro negli ultimi anni, catalizzando oltre il 30% del movimento totale con una componente di giovani di età inferiore ai 40 anni del 70%. Questo il quadro dell’occupazione nell’hospitality tracciato dal Rapporto dell’Osservatorio sul mercato del lavoro del turismo in Italia (documento realizzato da Federalberghi, in collaborazione con Fipe e con Ebnt su dati Inps), che disegna un comparto dai confini dinamici, in grado di creare vaste opportunità professionali.

Quali sono esattamente le professioni più richieste? Nel settore turistico e nel comparto alberghiero si cercano soprattutto cuochi, camerieri di sala e camerieri ai piani, nonché barman, sommelier, governanti e maître. A questi si devono poi aggiungere gli animatori per i villaggi turistici, mentre le agenzie di viaggio sono sostanzialmente a caccia di addetti booking e figure per il reparto amministrativo. Spiccano le figure dei revenue manager, chiamati ad ottimizzare le entrate di una struttura abbandonando il listino fisso e abbracciando al contrario tariffe dinamiche.

Ma l’elenco non si esaurisce qui: in questo nuovo contesto assume particolare importanza la comunicazione online. Il web e i social network hanno di fatto concepito nuove professioni e attività che spesso esulano dal lavoro dipendente: si pensi a soggetti esterni che sviluppano le app, si occupano del social marketing, dello storytelling, di turismo esperienziale e via discorrendo. Nelle strutture di fascia alta si ricercano infine i guest relations, naturale evoluzione di figure più tradizionali quali il concierge, il capo ricevimento o la governante.

Il lavoro stagionale

Da sempre, il settore turistico è per natura fortemente stagionale e dunque disciplinato dalla legge in maniera tassativa, al fine di ovviare il dilagante problema del lavoro nero.

Per il Contratto Collettivo del Turismo, si considerano aziende stagionali quelle che osservano, nel corso dell’anno, uno o più periodi di chiusura al pubblico. Alle aziende che operano in condizioni di stagionalità è concesso assumere dei lavoratori a tempo determinato per tutta la durata della stagione.

Si definisce dunque lavoratore stagionale colui che svolge l’attività lavorativa che in modo non continuativo, ma solo in determinati periodi dell’anno.

Egli ha diritto ai trattamenti retributivi ed al periodo di ferie spettanti in favore dei lavoratori a tempo indeterminato in misura proporzionale alla durata del contratto e secondo le previsioni del CCNL. Tuttavia, al fine di ottenere degli sgravi contributivi, ed anche al fine di corrispondere un trattamento economico meno gravoso, le aziende stagionali possono utilizzare, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, una particolare modalità di apprendistato: quello a tempo determinato. Nello specifico, l’apprendista viene impiegato solo per alcuni mesi dell’anno ed il suo percorso formativo si completa negli anni successivi, sommando i periodi di lavoro prestati nell’ambito di un arco temporale che, in tal modo, può diventare particolarmente lungo.

Il lavoratore stagionale ha il diritto di precedenza nella riassunzione presso la stessa unità produttiva e con la medesima qualifica. Il diritto di precedenza si estingue però entro un anno dalla data di cessazione del rapporto ed il lavoratore può esercitarlo a patto che manifesti la propria volontà in tal senso al datore di lavoro a mezzo comunicazione scritta entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso. L’eventuale rinuncia dovrà essere comunicata per iscritto in tempo utile per consentire all’azienda di provvedere alle conseguenti esigenze e comunque non oltre i trenta giorni successivi alla suddetta comunicazione, salvo comprovato impedimento.

Da ultimo, al pari di ogni altro lavoratore rimasto involontariamente disoccupato, il lavoratore stagionale ha diritto all’indennità di disoccupazione, ancorché la sua durata e l’importo riconosciuto dall’Inps siano inferiori rispetto a quelli previsti per la generalità dei dipendenti rimasti disoccupati.

Il lavoro nero

Sempre più frequente da parte dei datori di lavoro, per ovviare a queste “concessioni”, il ricorso al lavoro nero. Le associazioni di categoria e i sindacati lanciano un preoccupante campanello d’allarme: in estate 2018 ben il 55% dei lavoratori (+8%) delle principali destinazioni turistiche non aveva un contratto regolare.

In tutte le ipotesi in cui un lavoratore presti la propria attività per conto di un imprenditore senza alcuna formalizzazione contrattuale e senza che ne sia stata data comunicazione al Centro per l’Impiego e agli Istituti previdenziali ed assistenziali, il lavoratore può rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro dagli organi ispettivi del Ministero del Lavoro (che, anche in tal caso, sarà suo onere dimostrare) e la condanna dell’imprenditore alla regolarizzazione contrattuale e al pagamento di sanzioni ed ingiunzioni per il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi omessi.

Nell’ipotesi del lavoro nero, le sanzioni previste sono particolarmente gravi: basti pensare che la sola omessa comunicazione della assunzione ai Servizi per l’Impiego comporta una sanzione amministrativa che va da 100 euro a 500 euro per ciascun lavoratore interessato.

Inoltre, il lavoro sommerso comporta altresì:

o             una maxisanzione amministrativa da 1.500 euro a 9.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, nel caso di impiego effettivo del lavoratore fino a 30 giorni;

o             una maxisanzione da 3.000 euro a 18.000 euro, per ciascun lavoratore irregolare, nell’ipotesi di impiego effettivo del lavoratore da 31 a 60 giorni;

o             una maxi sanzione da 6.000 euro a 36.000 euro, per ciascun lavoratore irregolare, nell’ipotesi di impiego effettivo del lavoratore per oltre 60 giorni.

di Giacomo Pini

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